Da Ghiannis Ritsos nove monologhi per i miti della tragedia greca
“Ghiannis Ritsos – Quarta Dimensione”. È questo il titolo del programma che il Teatro Due di Parma dedica al lavoro del grande poeta greco che attraverso la decotruzione dei miti della drammaturgia greca li ha ricondotti ad una modo di essere vicina e attuale. Attraverso nove monologhi della raccolta “Quarta dimensione” , affidati ad altrettanti attori, alcune delle figure cardine della tragedia greca ci vengono restituite in tutta la loro umanità, in un processo che le demitizza senza dissacrarle.
Il passato e il mito in Ritsos assumono un carattere di contemporaneità, pur essendone inevitabilmente corrotti; dai suoi versi emerge potente la consapevolezza che il passato è presente nella vita contemporanea e quest’ultima, per osmosi, si permea di molti temi che sono stati cari al mondo greco. Su tutti il tema della “responsabilità” che costruisce il destino: per Ritsos poeta, così come per i suoi eroi, combattere è un dovere verso se stessi, pur sapendo che la lotta determinerà la fine. La sofferta visione decadente caratterizza costantemente la sua poetica, articolandosi di volta in volta su temi quali la memoria, il fascino delle opere e delle cose, la rivoluzione etica e sociale. Anche per eludere il controllo dei governi succedutisi in Grecia tra il 1936 e il 1970, Ritsos si è affidato alla maschera del mito, per parlare della “verità” e della “realtà” così come le vedeva nel suo paese. La vita del poeta è stata, pur segnata da dolori ed esili, animata da un’incrollabile fede negli ideali marxisti, oltre che nelle virtù catartiche della poesia. Ed è proprio la vita a vincere, in fondo, nel lavoro di Ritsos che viene presentato a Parma.
I monologhi
La prima parte del progetto, che si articola in diversi appuntamenti dal 15 novembre al 7 dicembre, racconta i miti di Fedra, Aiace, Agamennone, Oreste, Persefone, Delfi.
In Fedra, Ritsos umanizza l’insana passione della moglie del re ateniese Teseo. Non più solo strumento del capriccio d’una dea offesa, Fedra è ma donna che non può più rinviare di dichiarare al figliastro, Ippolito, il suo amore che è oltre ogni regola. Il poeta attinge alla prima versione, poi andata perduta, dell’“Ippolito” di Euripide mettendo in secondo piano la storia dove sono gli dei a guidare la donna, rifiutata e umiliata dal figliastro con parole durissime, in una vendetta che non è solo sua ma anche di Teseo e sopra tutti di Afrodite che aveva suscitato la passione in Fedra poiché Ippolito aveva offeso la dea trascurando la sessualità e le donne, vantando la propria verginità e votandosi ad Artemide per sottrarsi a lei.
La complessa figura di Aiace di Salamina raccontata da Ritsos è molto moderna: il superuomo, secondo solo ad Achille per forza, è in realtà un essere umano con tutti i limiti della sua condizione, afflitto dalla solitudine e dalla rabbia. Di corporatura massiccia, aitante, abbandonato sul pavimento in mezzo a stoviglie rotte e animali sgozzati, in una camicia da notte lacera e insanguinata, Aiace prende la parola e in un’atmosfera onirica, di follia, in preda, sembrerebbe, ai deliri di una sbornia e al dolore per la propria condizione, si rivolge a una donna, al mondo, con parole di intima sofferenza. Da Sofocle sappiamo della sua umiliazione per non aver ricevuto le armi di Achille e della sua rabbia cieca; da Ritsos apprendiamo la sua lotta interiore contro il mondo che lo opprime e contro il quale non trova altra forma di ribellione che togliersi la vita.
Un re cosciente di aver appena compiuto una guerra inutile, di aver provocato morti, distruzioni e sofferenze senza senso è l’Agamennone che parla a sua moglie del suo passato in guerra. Rude, rassegnato, stanco, triste e, a tratti, tenero, struggente, l’Agamennone di Ritsos non assomiglia in nulla a quello superbo e arrogante di Eschilo.
Per il poeta Oreste, che ha assunto nell’immaginario collettivo occidentale il ruolo di “vendicatore”, altro non è che un giovane afflitto dal un destino a cui vuole ribellarsi. Dichiarando tutta la sua frustrazione e l’estraneità alla cupa faida famigliare che lo vincola, Oreste rifiuta le conseguenze sulla sua vita di decisioni altrui. Diviso tra il volere e il dovere, tra il passato e il futuro, tra la volontà degli altri e la sua. Oreste è un ragazzo del presente, della “quarta dimensione”: deve esplorare il suo domani, scegliere di agire, svelare, conoscere, capire la fibra della propria volontà, per trovare la libertà.
Figlia di Demetra e Zeus ma rapita dallo zio Ade, signore degli Inferi, Persefone è la donna divisa tra la morte e la rinascita in una ciclicità imperitura, eterna e ineluttabile. Ritsos la coglie appena giunta nella grande casa paterna, per passare i sei mesi di tempo che le spettano sulla terra, esausta per il viaggio affrontato dalla calma ombrosa dell’aldilà e travolta dalla luce accecante e al rumore del presente.
Infine a parlare è uno dei custodi degli scavi di Delfi, città considerata in antichità l’ombelico del mondo, sede del più importante e venerato oracolo del dio Apollo. Alla sera, quando i turisti vanno via, l’aziana guida si lascia andare a considerazioni sulla storia, l’arte, la vita, il tempo. È l’occasione per Ritsos per dare voce a chi normalmente, pur parlando tutto il giorno, rimane spesso inascoltato.
Nella produzione Fondazione Teatro Due curata da Walter Le Moli sono Cristina Cattellani, Paola De Crescenzo, Raffaele Esposito, Luca Nucera, Tania Rocchetta, Bruna Rossi, Massimiliano Sbarsi, Nanni Tormen, Emanuele Vezzoli a prestare il corpo e la voce ai protagonisti dipinti da Ritsos.
http://cultura.regione.emilia-romagna.it/notizie/2014/novembre/dai-versi-di-ghiannis-ritsos-nove-monologhi-per-nove-miti-della-tragedia-greca
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